sabato 1 agosto 2015

Contro Chiara Giaccardi




[4] SSOGIEs

Alcune persone del Gruppo del Guado hanno molto apprezzato l'articolo [1], che mi ha invece lasciato perplesso.

Se è pregevole che l'autrice ricordi che non si può appiattire il genere sul sesso, e che nemmeno Judith Butler vuole dichiarare l'irrilevanza del sesso biologico, d'altronde l'autrice si sente obbligata a sostenere il binarismo dei sessi e dei generi, con le conseguenze spiacevoli che si possono trarre soprattutto da questo brano, su cui si concentra la mia critica:
A fronte di una 'idolatria dell’io' che, come riconosceva Hannah Arendt, a partire dalla modernità ha preferito scambiare ciò che ha ricevuto come un dono con qualcosa che ha fabbricato con le proprie mani, un discorso sul 'gender' oggi dovrebbe uscire dall’opposizione natura-cultura (siamo naturali e culturali in quanto umani) e spostarsi sul piano simbolico. Contro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook, dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive (quali la femminilità e la mascolinità, nella loro dualità), e soprattutto una relazionalità costitutiva: la mia identità di genere nasce dall'incontro delle differenze e si è costruita nella relazione con altri, concreti come me. In un movimento di apertura e scoperta che si chiama libertà: nella gratitudine per quanto ricevuto, nella relazionalità del legame, nella consapevolezza che non siamo mai liberi dai condizionamenti culturali eppure abbiamo la capacità di non esserne completamente succubi, se solo evitiamo di aderire ottusamente al dato di fatto. 
Non ho letto l'opera di Hannah Arendt "Vita Activa" a cui fa riferimento Chiara Giaccardi, ma credo che il problema non sia l'esattezza del riferimento, bensì la sua appropriatezza. L'"idolatria" si definisce in contrapposizione alla "rivelazione", e consiste nell'attribuire status divino a ciò che non lo merita, nonché nel privare del giusto onore ciò che ha per rivelazione divino status.

In una parola, per Chiara Giaccardi mascolinità e femminilità hanno status divino, le altre possibili identità di genere non ce l'hanno - ed idolatra chi risponde con gli argomenti di [2] e [3].

Inoltre, si può ritorcere contro Chiara Giaccardi un argomento che lei usa: lei dice che "dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive" - e sarei anche d'accordo.

Ma lei dice che si deve far questo "[c]ontro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook".

Se noi applicassimo questo ragionamento ai colori, nessun grafico e nessun tipografo riuscirebbero più a lavorare, perché sarebbero obbligati a sostituire alle determinazioni "idolatriche e tecnocratiche" delle tonalità di colore (temperatura Kelvin, colore Pantone, RGB, CYMK, ecc.) delle "parole simboliche" che, proprio perché "capaci di ospitare in sé un'apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive", non danno alcuna indicazione operativa su come comporre il colore che deve apparire sullo stampato o sullo schermo.

Non si pretende che la sessuologia raggiunga questo grado di precisione, ma è molto significativo che, pur di mantenere la "divina" supremazia della mascolinità e della femminilità, si voglia impedire ogni progresso in questo campo.

Galileo non si sta rivoltando nella tomba, sta ridendo come un pazzo.

Per quanto riguarda i "56 profili di 'gender' proposti da Facebook", o le etichette che compongono la sigla LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bi, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, ecc.), vedo che Chiara Giaccardi è caduta in un equivoco in cui non dovrebbe cadere nessuna persona che abbia militato almeno per un autunno ed una primavera in un'associazione SSOGIE.

Questi "profili" e "queste" etichette non pretendono di descrivere la natura (o, peggio ancora, l'essenza) delle persone, ma semplicemente di indicare ognuna un diverso modo in cui tali persone sono oppresse.

Il progresso sociale porta alla luce nuovi tipi di oppressione di cui non si aveva prima coscienza (è il caso degli intersessuali e degli asessuali, per esempio), e rende sempre più evidenti le sottili differenze tra i diversi tipi di oppressione (questo spiega perché prima si parlasse solo del movimento gay, poi di quello gay e lesbico, poi si sono aggiunti nell'ordine quello trans e quello bi), oppure dà il via a nuovi modi di combattere l'oppressione (il movimento queer è soprattutto questo).

Perché le organizzazioni SSOGIE continuano ad usare la sigla LGBTQIA+, che è già molto lunga, ed ammette con il "+" che potrebbe allungarsi ancora? Come ho spiegato in [4], per dimostrare di avere piena coscienza dell'articolazione dei soggetti che ne fanno parte, ovvero del fatto che le differenze tra di loro, anziché impedire una lotta comune, la rendono indispensabile.

È ovvio che queste etichette non possono descrivere nessuna persona in modo esauriente, ma hanno un carattere politico, non ontologico. Eliminate l'oppressione delle minoranze sessuali (cosa che chi sostiene il divino status di femminilità e mascolinità non vuol certo fare), e queste etichette diverranno obsolete.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebreo
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale