sabato 6 febbraio 2016

Per una metafisica e politica del genere

Una cosa spiacevole che alcune persone trans e queer (tra cui io) sperimentano è che è più facile trovare persone etero cis che riconoscano la loro identità di genere ed adoperino il nome che hanno scelto, di persone trans, molte delle quali si abbarbicano al sesso ed al nome anagrafico.

La spiegazione che viene data è che occorre convincere queste ultime persone di essere davvero "trans", e per costoro "trans" è la persona che prova "disforia di genere". Chi non la prova non è degno di essere definito trans.

Questa posizione viene spregiativamente definita "transfondamentalismo", mentre le persone trans che sentono la nostalgia, più che la disforia, di genere si autodefiniscono "trucute"; credo però che la cosa migliore da fare non sia ricorre agli epiteti, ma alle definizioni filosofiche.

Io sono stat* iscritt* al Partito Comunista Italiano; ora ripudio il marxismo come ideologia politica (il socialismo è fallito economicamente e politicamente è stato irrimediabilmente oppressivo), ma alcuni presupposti metafisici del marxismo li ho conservati.

Per esempio, il rifiuto dell'essenzialismo:
L'uomo, agendo sul mondo esterno e modificandolo, modifica nello stesso tempo anche la propria natura. Sviluppa i suoi poteri assopiti e li costringe ad obbedire ai dettami del suo dominio. (Il Capitale / Karl Marx)
Prima ancora:
Come gli individui esternano la loro vita così essi sono. Ciò che essi sono coincide dunque immediatamente con la loro produzione, tanto con ciò che producono quanto col modo come producono. (L'ideologia tedesca / Karl Marx)
E più avanti:
Il problema di cos'è l'uomo è dunque sempre il così detto problema della “natura umana”, o anche quello del così detto “uomo in generale”, cioè la ricerca di creare una scienza dell'uomo (una filosofia) che parte da un concetto inizialmente “unitario”, da un'astrazione in cui si possa contenere tutto l' “umano”. Ma l' “umano” è un punto di partenza o un punto d'arrivo, come concetto e fatto unitario? O non è piuttosto, questa ricerca, un residuo “teologico” e “metafisico” in quanto posto come punto di partenza? La filosofia non può essere ridotta a una naturalistica “antropologia”, cioè l'unità del genere umano non è data dalla natura “biologica” dell'uomo; le differenze dell'uomo, che contano nella storia non sono quelle biologiche (razze, conformazione del cranio, colore della pelle ecc.; e a ciò si riduce l'affermazione “l'uomo è ciò che mangia”) (…). 
Che la “natura umana” sia il “complesso dei rapporti sociali” è la risposta più soddisfacente, perché include l'idea del divenire: l'uomo diviene, si muta continuamente col mutarsi dei rapporti sociali, e perché nega “l'uomo in generale” (…). Si può anche dire che la natura dell'uomo è la “storia” (…) se appunto si dà a storia il significato di “divenire”, in una “concordia discors” che non parte dall'unità, ma ha in sé le ragioni di una unità possibile: perciò la “natura umana” non può ritrovarsi in nessun uomo particolare ma in tutta la storia del genere umano (…)  (Quaderni del carcere / Antonio Gramsci // Quaderno 7, § 35, p. 884).
Questo stesso rifiuto dell'essenzialismo si ritrova anche nel pensiero di Judith Butler (vedi qui), per cui il genere è "performativo": noi ci comportiamo come se esistesse, e così lo rendiamo reale.

Si tratta di un filone già presente nel pensiero ebraico (Butler e Marx sono ebrei; il marxista Gramsci aveva sposato un'ebrea), ed espresso (per cominciare) nel famoso midrash:
"Se voi siete miei testimoni, io sarò il vostro Dio, oracolo del Signore [cfr. Isaia 43:12] - se non siete miei testimoni, per così dire, non sarò il Signore" (Midrash Tehillim, commento al Salmo 123:1 - con paralleli in Pesiqta d'Rav Kahana e Mekhilta).
Dio non è qui un oggetto ideale (come nella teologia cristiana), ma un oggetto sociale, la cui esistenza dipende dal riconoscimento di chi vuol farsene testimone, con la parola e l'azione (vedi anche qui).

Il presupposto dei "transfondamentalisti" è invece che ogni persona abbia un'essenza immutabile, e di codest'essenza faccia parte l'identità di genere; una parte influente del movimento gay condivide il presupposto, e ritiene che dell'essenza faccia parte l'orientamento (mono)sessuale.

Mentre io argomento l'illiceità delle terapie riparative sul fatto che pretendono di correggere o sopprimere ciò che non nuoce a nessuno (non esistono infatti identità di genere ed orientamenti sessuali nocivi od erronei), e sono quindi un irragionevole attentato al diritto all'espressione di sé (marxianamente e gramscianamente, la natura umana consiste in come uno si esprime, agendo e parlando), gli essenzialisti argomentano che tali terapie disconoscono la loro più profonda essenza, e vanno per questo bandite.

Sarebbero anche punti di vista compatibili, se non fosse che impongono diversi atteggiamenti verso chi adotta un'identità di genere diversa dal proprio sesso anagrafico. La persona "transfondamentalista" parte dal presupposto che il sesso anagrafico esprima una qualità essenziale della persona fino a prova contraria, e chi vuole "transizionare" deve offrire la prova contraria.

Il "trucute", ovvero il "queer" od il "costruttivista" che si ispira a Marx, Gramsci, Butler, risponde che il genere è un ruolo sociale, ovvero uno dei modi che uno sceglie per esternare la propria vita ed influire sulla realtà sociale.

Non ha alcuna relazione con l'essenza di una persona, e quindi non c'è prova da fornire. La persona che sceglie un genere inadatto a sé si mette nella situazione di chi, senza braccia né mani, si iscrive ad un torneo di scherma - se non trova il modo di impugnare la lama, non vincerà, e questa sarà la sua pena. Non c'è bisogno di uno scrutinio preventivo.

Alcuni paesi, come Argentina, Irlanda e Malta, consentono ad una persona di cambiare genere anagrafico per semplice dichiarazione di volontà - adottando quindi il paradigma "costruttivista" o "trucute"; altri come l'Italia esigono ancora un'indagine medica - rimanendo attaccati al paradigma "essenzialista" o "transfondamentalista".

Sarebbe necessario portare anche l'Italia nei paesi del primo paradigma.

Raffaele Yona Ladu

sabato 1 agosto 2015

Contro Chiara Giaccardi




[4] SSOGIEs

Alcune persone del Gruppo del Guado hanno molto apprezzato l'articolo [1], che mi ha invece lasciato perplesso.

Se è pregevole che l'autrice ricordi che non si può appiattire il genere sul sesso, e che nemmeno Judith Butler vuole dichiarare l'irrilevanza del sesso biologico, d'altronde l'autrice si sente obbligata a sostenere il binarismo dei sessi e dei generi, con le conseguenze spiacevoli che si possono trarre soprattutto da questo brano, su cui si concentra la mia critica:
A fronte di una 'idolatria dell’io' che, come riconosceva Hannah Arendt, a partire dalla modernità ha preferito scambiare ciò che ha ricevuto come un dono con qualcosa che ha fabbricato con le proprie mani, un discorso sul 'gender' oggi dovrebbe uscire dall’opposizione natura-cultura (siamo naturali e culturali in quanto umani) e spostarsi sul piano simbolico. Contro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook, dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive (quali la femminilità e la mascolinità, nella loro dualità), e soprattutto una relazionalità costitutiva: la mia identità di genere nasce dall'incontro delle differenze e si è costruita nella relazione con altri, concreti come me. In un movimento di apertura e scoperta che si chiama libertà: nella gratitudine per quanto ricevuto, nella relazionalità del legame, nella consapevolezza che non siamo mai liberi dai condizionamenti culturali eppure abbiamo la capacità di non esserne completamente succubi, se solo evitiamo di aderire ottusamente al dato di fatto. 
Non ho letto l'opera di Hannah Arendt "Vita Activa" a cui fa riferimento Chiara Giaccardi, ma credo che il problema non sia l'esattezza del riferimento, bensì la sua appropriatezza. L'"idolatria" si definisce in contrapposizione alla "rivelazione", e consiste nell'attribuire status divino a ciò che non lo merita, nonché nel privare del giusto onore ciò che ha per rivelazione divino status.

In una parola, per Chiara Giaccardi mascolinità e femminilità hanno status divino, le altre possibili identità di genere non ce l'hanno - ed idolatra chi risponde con gli argomenti di [2] e [3].

Inoltre, si può ritorcere contro Chiara Giaccardi un argomento che lei usa: lei dice che "dovremmo riaprirci alla parola simbolica, capace di ospitare in sé un’apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive" - e sarei anche d'accordo.

Ma lei dice che si deve far questo "[c]ontro l’illusione idolatrica e tecnocratica di trovare il termine che esprime esattamente, senza resto, ogni sfumatura possibile della nostra identità sessuale, come i 56 profili di 'gender' proposti da Facebook".

Se noi applicassimo questo ragionamento ai colori, nessun grafico e nessun tipografo riuscirebbero più a lavorare, perché sarebbero obbligati a sostituire alle determinazioni "idolatriche e tecnocratiche" delle tonalità di colore (temperatura Kelvin, colore Pantone, RGB, CYMK, ecc.) delle "parole simboliche" che, proprio perché "capaci di ospitare in sé un'apertura, una gamma inesauribile di possibilità espressive", non danno alcuna indicazione operativa su come comporre il colore che deve apparire sullo stampato o sullo schermo.

Non si pretende che la sessuologia raggiunga questo grado di precisione, ma è molto significativo che, pur di mantenere la "divina" supremazia della mascolinità e della femminilità, si voglia impedire ogni progresso in questo campo.

Galileo non si sta rivoltando nella tomba, sta ridendo come un pazzo.

Per quanto riguarda i "56 profili di 'gender' proposti da Facebook", o le etichette che compongono la sigla LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bi, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, ecc.), vedo che Chiara Giaccardi è caduta in un equivoco in cui non dovrebbe cadere nessuna persona che abbia militato almeno per un autunno ed una primavera in un'associazione SSOGIE.

Questi "profili" e "queste" etichette non pretendono di descrivere la natura (o, peggio ancora, l'essenza) delle persone, ma semplicemente di indicare ognuna un diverso modo in cui tali persone sono oppresse.

Il progresso sociale porta alla luce nuovi tipi di oppressione di cui non si aveva prima coscienza (è il caso degli intersessuali e degli asessuali, per esempio), e rende sempre più evidenti le sottili differenze tra i diversi tipi di oppressione (questo spiega perché prima si parlasse solo del movimento gay, poi di quello gay e lesbico, poi si sono aggiunti nell'ordine quello trans e quello bi), oppure dà il via a nuovi modi di combattere l'oppressione (il movimento queer è soprattutto questo).

Perché le organizzazioni SSOGIE continuano ad usare la sigla LGBTQIA+, che è già molto lunga, ed ammette con il "+" che potrebbe allungarsi ancora? Come ho spiegato in [4], per dimostrare di avere piena coscienza dell'articolazione dei soggetti che ne fanno parte, ovvero del fatto che le differenze tra di loro, anziché impedire una lotta comune, la rendono indispensabile.

È ovvio che queste etichette non possono descrivere nessuna persona in modo esauriente, ma hanno un carattere politico, non ontologico. Eliminate l'oppressione delle minoranze sessuali (cosa che chi sostiene il divino status di femminilità e mascolinità non vuol certo fare), e queste etichette diverranno obsolete.

Raffaele Yona Ladu
Orgogliosamente ebreo
Dottore in Psicologia Generale e Sperimentale

lunedì 20 luglio 2015

L'operazione non serve più


L'Italia è ora un paese più civile. Non si è ancora arrivati ad una normativa maltese (in cui basta recarsi da un notaio per ottenere il cambio di genere anagrafico), ma intanto la Cassazione ha dichiarato non necessario l'intervento chirurgico.

Raffaele Yona Ladu
Lesbica pene-positiva

martedì 14 luglio 2015

Trans Isacco







Devo ammettere una volta di più di essere un dilettante in queste cose, e che le poche cose che scopro sono solo una frazione di quelle che ci sono da imparare.

Ho intitolato il blog "Tunica sfiziosa" pensando che il primo personaggio biblico trans fosse Giuseppe, ma lo Zohar ci informa che trans era suo nonno Isacco.

Riassumendo quello che è scritto in [1], tutto parte dal presupposto che esistono anime maschili ed anime femminili - a dire il vero, secondo lo Zohar, sono create a coppie maschio-femmina, ma quando entrano nei loro corpi si separano l'una dall'altra, ed il compito più importante per entrambe è ritrovarsi, riconoscersi e riunirsi nel matrimonio.

È sempre vero che un'anima maschile entra solo in un corpo maschile, ed una femminile in un corpo di donna? È la situazione ideale, ma il gioco delle reincarnazioni può sovvertirla.

Secondo Yitzchaq Luria (1534-1572) e Chayim Vital (1542-1620), che condividevano con il Codice di Santità del Pentateuco l'attenzione esclusiva ai rapporti anali tra uomini, la punizione per questi rapporti (ed altre trasgressioni simili, ma non meglio precisate) è per il maschio colpevole reincarnarsi in una donna.

Questa donna non diventa un "maschiaccio", ma sconta le colpe della sua vita passata con la sterilità, in quanto manca la complementarietà a livello di anime (di "identità e ruolo di genere", sono tentato di tradurre) che consente la fecondazione.

Luria e Vital sembrano credere che, come l'uomo emette liquido seminale (qui chiamato "Mayin Dukhrin = Acque maschili") durante il rapporto, così i fluidi corporei femminili ("Mayin Nukvin = Acque femminili") emessi nella medesima occasione sono fondamentali per il concepimento.

Va precisato che quella che nell'antichità era una credenza medica in Luria e Vital è diventata una realtà spirituale: sono le anime che emettono questi fluidi; ma se ambedue le anime sono maschili, il concepimento non può avvenire.

Come si risolve il problema? La donna in questa situazione deve accumulare tanti meriti da meritare l'"ibur = fecondazione" da parte di un'anima femminile, che entrerà in lei e si affiancherà all'anima maschile che già possiede.

Quest'anima ospite crea la complementarietà che consente il concepimento, e lei approfitterà della nuova nascita per reincarnarsi nella bimba.

Come si fa ad essere sicuri che sarà una bimba? Per prima cosa, il Talmud dice che se l'uomo è il primo a venire, verrà concepita una femmina; se è la donna la prima a venire, verrà concepito un maschio.

In questa situazione, le anime dei coniugi sono entrambe maschili, quindi non c'è rischio che venga per prima un'anima femminile; inoltre, l'anima femminile che si è unita a loro lo fa per procurarsi un corpo femminile in cui reincarnarsi. Non meritando ella una punizione, quel corpo le viene dato.

Questa è la spiegazione (non molto lusinghiera per il gentil genere, lo ammetto) del perché ci sono donne che generano solo figlie femmine.

Ma l'ultima parola in materia non l'hanno detta Luria e Vital: se costoro erano sicuri che non potesse mai capitare ad una donna di [re]incarnarsi in un corpo maschile, un famoso rabbino, Shmuel Bornsztain (1855-1926), riprese l'insegnamento dello Zohar, secondo cui questo era capitato ad Isacco figlio di Abramo e Sara, padre di Giacobbe ed Esaù.

Non ho letto direttamente la sua opera Shem MiShmuel, mi devo perciò fidare del riassunto che ne dà [2]; la vicenda sembra abbastanza lineare, e comincia con le irriverenti risate di Sara.

Secondo rav Bornsztain, era strano che gli angeli del Signore dicessero che Sara, e non Abramo, avrebbe avuto un figlio (Genesi 18:10); questo insospettì Sara, che capì che l'anima di Isacco sarebbe venuta dal mondo femminile, anziché maschile.

Quell'annuncio le parve una beffa atroce, perché lei sapeva [lo avrebbe poi esplicitato lo Zohar] che le persone in cui l'anima ("identità di genere") ed il corpo ("sesso biologico") divergevano erano sterili - era questo il modo in cui Dio manteneva la promessa di fare di Abramo il padre di una moltitudine (Genesi 17:4)?

Questo è solo uno dei numerosissimi commenti, ebraici e cristiani, al riso di Sara; tornando ad Isacco, secondo lo Zohar, il momento della verità giunse quando lui fu legato da Abramo sul Monte Moria su preciso ordine dell'Eterno.

Che fece l'Eterno? Secondo la Bibbia, scambiò un montone con Isacco; secondo lo Zohar, scambiò la preesistente anima femminile con una maschile - Isacco, [redi]vivo e mascolinizzato, potè quindi sposare Rebecca (guarda caso, Genesi 22:23 parla solo ora della nascita di costei - era l'anima femminile creata in coppia con quella maschile di Isacco), e continuare la stirpe.

[2] continua spiegando che le anime maschili e le anime femminili hanno diverse doti - e che Isacco potè esprimere entrambe durante la sua vita: prima della legatura ('aqedat Yitzchaq) la sua fede era passiva, in quanto cercava la vicinanza di Dio e di venirne illuminato il più possibile; dopo divenne attiva ed impegnata a migliorare il mondo.

Questa dicotomia non mi piace molto, perché è ovvio che qui prima si è scelta "la parte buona" (cfr. Luca 10:42) e poi la si è attribuita al genere maschile; l'unico argomento a discapito è che sono doti utili in ogni persona, ed in ogni anima ci sono elementi "maschili" e "femminili".

Uno si potrebbe chiedersi: "E come si fa a cambiare l'anima ad una persona senza che ella muoia?"

La risposta la danno [3], [4], [5], [6]: a dispetto della Bibbia, diversi midrashim sono convinti che Isacco fosse veramente morto sul Monte Moria, e l'Eterno lo avesse risuscitato (e mica subito! Dopo tre anni!). L'interpretazione tipologica cristiana (Ebrei 11:17-19) della Legatura di Isacco (Genesi 22) come prefigurazione della Crocefissione di Gesù trova qui la sua base.

Perché mi sono divertito a parlare di queste cose? Per mostrare che i "no-gender" stanno togliendo la fantasia non solo alla vita sessuale, ma anche a quella religiosa.

L'idea che Isacco possa aver avuto due anime in successione, e che la sua individualità fosse data dal solo corpo che le ospitava entrambe sfida il comune raziocinio teologico (per cui l'individualità di una persona è data dalla combinazione di anima e corpo), ma non è altro che la conseguenza estrema del credere nella versione cabalistica della reincarnazione, in cui diverse anime possono popolare lo stesso corpo in diversi momenti della sua vita.

Approfondiremo.

Raffaele Yona Ladu

giovedì 2 luglio 2015

Trans-matrimonio annullato in Israele




L'articolo [1] punta al [2], che riferisce questa notizia: all'inizio del giugno 2015 una coppia israeliana si presenta negli uffici del Rabbinato di Gerusalemme per sposarsi; lei è incinta e lui dice di essere il padre; i due chiedono inoltre una modesta cerimonia negli uffici del rabbinato, ed il rabbinato acconsente anche a questo.

Due settimane dopo, si viene a sapere che "lui" non è un uomo cis, ma un uomo trans: nato donna, ha ottenuto la rettificazione sia chirurgica che anagrafica del sesso [a dire il vero, in Israele non è più necessaria l'operazione per il cambio dei documenti], ed a tutti gli effetti giuridici lui è un uomo.

Purtroppo, la legge ebraica ortodossa non riconosce la transizione di genere, per cui il rabbinato si è trovato a celebrare quello che considera un matrimonio tra due donne, anch'esso non consentito - e perciò il matrimonio viene dichiarato nullo.

L'articolo [3] precisa che era stato un cugino della coppia a fare la spia; che la coppia fu convocata, e che negò finché non fu minacciato un test genetico che avrebbe confermato quello che era accaduto.

Che si farà ora? Il Ministero degli Affari Religiosi ha annunciato che spenderà 45 milioni di Shekel (circa 10 milioni di Euro) per computerizzare gli uffici rabbinici, in modo che sia impossibile ripetere questa beffa.

Faccio queste considerazioni:

1. Non si imbroglia la gente così: se sai che non puoi contrarre un matrimonio ebraico ortodosso, non ci devi provare.

2. Purtroppo in Israele non c'è molta scelta: gli ebrei possono sposarsi solo attraverso un rabbino ortodosso, che non celebra matrimoni tra persone dello stesso sesso biologico - e nemmeno tra un ebreo ed un non ebreo.

3. Si può aggirare l'ostacolo recandosi all'estero e chiedendo la trascrizione del matrimonio da parte del Ministero dell'Interno, ma, se la coppia ha chiesto una modesta cerimonia negli uffici del rabbinato, voleva dire che perfino recarsi in Slovenia era per loro impossibile.

4. Ci possono essere altri ostacoli sulla strada di chi vuole sposarsi - per esempio, chi è nato da adulterio od incesto viene considerato un "mamzer = bastardo" e, pur senza sua colpa, può sposare solo altri "bastardi", oppure un convertito all'ebraismo.

5. Altro ostacolo può essere il finire nella lista nera delle adultere (non degli adulteri!) - un pettegolezzo, od un'accusa campata in aria come accade nelle case di divorzio, e ci si trova nell'impossibilità di risposarsi. E la possibilità di farci finire la propria ex-moglie diventa una potente arma di ricatto per il marito che divorzia.

6. La soluzione al problema si chiama separazione della religione dallo stato. Fosse stata implementata nel 1947, avrebbe significato che il rabbinato avrebbe allestito e gestito la propria anagrafe informatizzata a spese dei fedeli disposti a pagare, non del contribuente. E chi finisce in una lista nera, anziché far causa al rabbinato per esserne rimosso (credo che ogni anno ci siano decine di cause del genere), può prendersela con filosofia perché può sposarsi civilmente.

7. Spiace aggiungere che, anche se lo sposo se l'è andata a cercare, si è violato il suo diritto alla privacy. Uno degli scopi della transizione anagrafica è quello di far uscire la persona trans dallo spiacevole obbligo di spiegare la discrepanza tra il proprio abbigliamento ed il proprio genere anagrafico, tra il proprio ruolo sociale ed il proprio aspetto. Le persone cis non sono obbligate a dare queste spiegazioni, e la transizione anagrafica parifica a loro le trans.

8. Per questo le anagrafi civili non rivelano mai il sesso attribuito alla nascita della persona che ha transizionato - però la mancata separazione della religione dallo stato in Israele, con lo stato e la religione che determinano il genere della persona in modo diverso, vanifica questo diritto alla privacy.

9. Non è piacevole per un uomo trans sentirsi dire: "Per quanto tu abbia tribolato, per noi sei e sempre sarai una donna cis!" Se si tratta di passanti, uno può scrollare le spalle; se si tratta delle persone a cui lo stato dà il potere di scegliere se e con chi sposarsi, al dolore ed all'umiliazione non si può sfuggire.

10. La cosa più grottesca è che il contribuente si trova a pagare un ministero (quello dell'Interno) perché occulti dei dati sensibili, ed un altro (quello degli Affari Religiosi) perché li sveli. I rimedi proposti eliminerebbero la contraddizione.

Raffaele Yona Ladu
Lesbica pene-positiva

sabato 13 giugno 2015

Transgender, transrazziale e transetnico


Dopo il caso Caitlyn Jenner, negli USA è scoppiato il caso Rachel Dolezal, la responsabile della sezione di Seattle, WA, della NAACP, che per diverso tempo si è dichiarata "nera", finché i suoi genitori non l'hanno invece pubblicamente dichiarata "bianca".

Come potete constatare nel sito della NAACP, tra gli stessi fondatori dell'organizzazione c'erano dei bianchi, quindi il problema non è la presunta "razza" di Rachel Dolezal, quanto il modo in cui si è identificata con la "razza nera" e lo ha pubblicamente dichiarato (anche falsificando dei documenti e simulando minacce mai pervenute, secondo [2], e questi sono dei reati).

Molte persone di colore si sono risentite (tant'è vero che Lunedì 15 Giugno 2015 Rachel Donezal si è dimessa da responsabile della sezione di Seattle della NAACP), con diverse motivazioni.

La prima è l'appello a non paragonare le persone transgender con le persone transrazziali: il termine transrazziali indica in sociologia le persone che hanno varcato le barriere della "razza" loro malgrado, in quanto persone di colore (non solo afroamericane - spesso anche asiatiche) adottate da famiglie bianche.

Non sono quindi persone che hanno valicato volontariamente la barriera razziale, e le dinamiche tra genitori adottivi bianchi ed adottati di colore hanno spesso portato loro grande sofferenza.

In molti casi, i genitori adottivi bianchi hanno esibito la loro scelta di adottare persone di colore come uno "status symbol", la prova della loro grande generosità, ma non era loro possibile inserire i loro figli nella cultura da cui provenivano, e spesso non la stimavano nemmeno - delle persone transrazziali ricordano che i loro genitori adottivi li rimbrottavano dicendo: "Ringrazia noi, ché alrimenti avresti mendicato, fatto del lavoro minorile, o la prostituta bambina!"

Per giunta, la società americana non concepisce la possibilità di "cambiare razza", e questo ha fatto di loro degli sradicati; quest'impossibilità di "cambiare razza" è la seconda motivazione per non paragonare le persone transgender con quelle transrazziali.

Quest'impossibilità è stata motivata in diversi modi; chi ha fatto ricorso ad argomenti biologici, chi ha, come Shiri Eisner, più intelligentemente osservato che in America il bianco che passa da persona di colore non perde i privilegi del bianco, mentre la persona di colore che passa da bianco viene duramente punita se scoperta - la miglior prova che la società americana non concepisce la possibilità di cambiare "razza".

Un paragone alquanto ingeneroso, ma non del tutto insensato, è con la legislazione razziale nazista: è difficile pensare che durante il nazismo un gentile volesse convertirsi all'ebraismo, ma per i nazisti questa "Willenserklärung = Declaratio Voluntatis" sarebbe stata irrilevante, in quanto non gli avrebbe fatto perdere la sua "arianità", stabilita esclusivamente con criterio genealogico.

Invece la donna transgender (anche in Italia, è stato riscontrato) perde i privilegi dell'uomo, e l'uomo transgender li acquisisce in parte; un argomento interessante sull'impossibilità di varcare sia le barriere "razziali" che quelle etniche e di genere l'ho trovato in [1] - purtroppo, non mi convince.

Il problema mi riguarda in quanto lesbica transgender da una parte, ebrea per conversione/adozione dall'altra; posso essere una trans ed una convertita solo se ritengo possibile valicare le barriere di genere ed etnia, ma le argomentazioni in [1] sono a favore della loro invalicabilità.

La tradizione ebraica è piuttosto variegata, a seconda dei tempi, dei luoghi, e delle denominazioni, ma il punto comune è che un gentile (di ogni genere) ebreo lo può diventare - perciò le argomentazioni di [1] in ambito ebraico non verrebbero accolte.

Da un punto di vista antropologico-culturale, ritengo opportuno osservare che ogni cultura deve essere trasmessa da una generazione all'altra, e che una persona viene dichiarata adulta quando ne ha assimilato abbastanza da trasmetterla alla generazione successiva - che contribuisce ella stessa magari a generare fisicamente.

La costruzione di una cultura può richiedere secoli, ma la sua trasmissione da una generazione all'altra non può richiedere più di due decenni; quindi, se è possibile fare dei nati della propria etnia degli adulti, che cosa impedisce di integrare degli estranei in essa? La tradizione ebraica sull'etnia è molto più intelligente della concezione americana della "razza".

Allo stesso modo si può argomentare per il genere: molte femministe "trans-esclusive" fanno di tutto per impedire che le donne trans vengano considerate donne tout-court, argomentando in modi alle volte anche volgari (per esempio, Germaine Greer ha detto che una donna trans non avrà mai la profumata vulva di una donna cis); quando non vogliono essere volgarmente biologistiche, affermano che la "socializzazione" che subiscono le donne fin dalla nascita è diversa da quella che subiscono gli uomini, e questo renderebbe a loro giudizio irriducibile l'esperienza di una donna trans a quella di una donna cis.

Invece tutto si può imparare, e quindi una donna trans che sviluppi un'identità di genere femminile può interpretare in modo convincente (per quanto non viene limitata dal suo corpo di origine maschile) un ruolo ad essa conforme.

Il caso di David Reimer non è pertinente: questi era stato trasformato in femmina a suo dispetto - e questo fa la differenza rispetto alle persone trans che vogliono spontaneamente cambiare genere.

Raffaele Yona Ladu



P. S.: Il 17 Giugno 2015 Rachel Dolezal, come dice ad esempio [3], ha fatto il coming out da bisessuale. Alcuni attivisti bi si sono arrabbiati ed hanno dichiarato: "Non è vero!", io penso che, se ci ispiriamo a David Ben Gurion e diciamo che "chiunque sia abbastanza meshugge = pazzo da dichiararsi bisessuale è bisessuale", non possiamo che crederle sulla parola, tantopiù che il suo coming-out equivale ad affermare che nemmeno nel campo del desiderio ci sono barriere invalicabili, e concorda perciò con il suo poco apprezzato tentativo di varcare le barriere della razza.

giovedì 11 giugno 2015

SSOGIEs




Nel quadro di [0], ho incontrato Surat-Shaan Rathgeber Knan, che lavora per [1], che ha consigliato di sostituire, in alcune situazioni (preciso io), la sigla LGBTQIA+ (Lesbiche, Gay, Bi, Trans, Queer, Intersessuali, Asessuali, ecc.) con "SSOGIEs = Sexes, Sexual Orientations, Gender Identities and Expression = Sessi, Orientamenti Sessuali, Identità ed Espressioni di Genere", per non continuare ad allungare la sigla LGBT*, a rischio oltretutto di dimenticare qualche gruppo, tra cui gli eterosessuali, alle volte anche loro vittime di oppressione (per esempio, quando le attiviste nubili per la democrazia in Egitto sono state sottoposte a visita ginecologica, perché i militari volevano il pretesto per accusarle di prostituzione - perché la legge egiziana vieta i rapporti sessuali prima e fuori del matrimonio).

L'idea è venuta all'organizzazione [2], dopo due settimane di dibattito. Mi pare utile adottarla, sempre in situazioni particolari, magari usando per il momento la doppia sigla LGBT*/SSOGIEs, per chi non conosce la nuova.

Le situazioni particolari in cui è meglio parlare di SSOGIEs sono quelle in cui si riuniscono tutte le vittime di oppressione per motivi sessuali, ed esse lottano insieme per la libertà sessuale - in quel caso l'inclusività vale assai più dell'identità.

Ma le "vittime" non sono tutte uguali e non sono solo oggetti passivi - ogni lettera della sigla LGBTQIA+ indica un diverso modo in cui si è oppressi, ed un diverso modo di reagire all'oppressione creando un'identità sociale distinta.

L'agglutinare tali sigle ha il significato politico di riconoscere che diversi gruppi minoritari si riconoscono a vicenda come esistenti (lesbiche e bisessuali, per esempio, si lamentano spesso della loro invisibilità) e dotati di interessi comuni da perseguire insieme.

Rinunciare alla sigla LGBTQIA+ significa disperdere tutto questo, e sarebbe un vero peccato.

Occorre quindi stabilire ogni volta quando usare la sigla SSOGIEs e quando LGBTQIA+ - contro le "Sentinelle in Piedi" la sigla SSOGIEs mi pare estremamente opportuna, perché il loro attacco non è solo contro gli omosessuali ed i trans, ma contro chiunque loro considerino sessualmente deviante, comprese le donne etero cis a cui i ruoli di genere catto-reazionari proprio non piacciono!

Raffaele Yona Ladu